Risarcimento dei danni da emotrasfusione. Un caso al vaglio del Tribunale di Firenze

di Francesca Cerea -

Una paziente, sottoposta a emotrasfusione nel 1970 in occasione del parto, contraeva un’infezione da HCV diagnosticata solo nel 1999. Dopo aver senza successo presentato richiesta di indennizzo alla Commissione medica ospedaliera competente, la paziente proponeva ricorso al Tribunale di Arezzo che le riconosceva il diritto all’indennizzo. Tuttavia la sentenza veniva poi integralmente riformata dalla Corte di Appello di Firenze e il rigetto dell’indennizzo confermato anche dalla Cassazione, nel 2023, per remissione della patologia e per la asserita non indennizzabilità del danno psichico.

In contemporanea al giudizio sull’indennizzo la paziente incardinava un secondo giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito della emotrasfusione. Il procedimento rimaneva sospeso sino alla pregiudiziale decisione sull’indennizzo, potendo quest’ultimo, se concesso, essere detratto dal totale eventualmente dovuto. Una volta definito il giudizio di Cassazione la causa viene riassunta e il Tribunale dispone CTU medico legale per verificare la sussistenza e l’entità di postumi permanenti.

Dalla consulenza emerge la presenza di un danno biologico permanente pari al 5%, causato dalla fibrosi epatica residua dell’infezione. Secondo il Tribunale, dalle prove testimoniali e documentali risulta dimostrata, inoltre, la sussistenza di danni esistenziali e relazionali dovuti in particolare alle limitazioni della sfera sessuale determinate dalla malattia infettiva, alle limitazioni nella sfera lavorativa, anche e soprattutto per le lunghe, ripetute e pesanti conseguenze delle cure contro l’epatite C e alle limitazioni nella vita sociale e nei viaggi.

Il danno morale viene ritenuto risarcibile sulla base del principio dell’id quod plerumque accidit, laddove “sapere di aver contratto una malattia infettiva ed invalidante a carico di un organo vitale come il fegato, come appunto l’epatite C, con le forti limitazioni che essa comporta anche in famiglia, è presumibilmente una fonte anche di sofferenza intrapsichica che merita un risarcimento”.

Alla luce delle risultanze, il Tribunale, facendo applicazione della normativa vigente al tempo della manifestazione dell’infezione e della consapevolezza dell’attrice, condanna il Ministero della Salute a risarcire la paziente con la somma di 50.000 euro e a farsi carico delle spese processuali e di consulenza tecnica.

Trib. Firenze 11.6.2024 – oscurata