Responsabilità della struttura sanitaria per diagnosi tardiva e perdita di chances di sopravvivenza

di Giovanni Pisanu -

Nel 2018 i figli di una donna novantenne, già affetta da cardiopatia e che avvertiva un forte dolore retrosternale e senso di lipotimia, richiedevano l’intervento dei sanitari del SUEM 118 i quali, giunti presso l’abitazione dell’anziana ed informati della di lei patologia, ritenevano non necessario il trasferimento al Pronto Soccorso. A distanza di poche ore dal primo intervento, visto il persistente stato di malessere della donna, veniva nuovamente richiesto l’intervento degli operatori del 118 che, diversamente da quanto valutato nel corso del primo accertamento, diagnosticavano “sospetto ictus” in atto e conducevano la donna all’Ospedale di Polistena; presso la struttura si procedeva al ricovero con diagnosi di accettazione indicante “stemi in sedi anteriore” ma, a seguito dell’ulteriore aggravamento della condizione clinica, la donna decedeva.

I figli, ritenendo che il tardivo trasferimento della madre all’Ospedale di Polistena, dovuto ad imperizia, imprudenza e negligenza dei sanitari del SUEM 118, avesse impedito di limitare il danno cardiaco acuto a lei occorso e, dunque, diminuito le possibilità di evitare il conseguente decesso, adivano il Tribunale di Palmi al fine di accertare la responsabilità della struttura ospedaliera per diagnosi tardiva e perdita di chances di sopravvivenza. Veniva contestualmente richiesta la condanna al risarcimento dei danni subiti sia iure proprio, consistenti in danno biologico, per la compromissione dello stato di salute fisica e psichica degli stessi, e danno parentale, per la perdita del rapporto e la correlata sofferenza soggettiva, sia iure hereditatis, per il nocumento subito dalla madre giacché quest’ultima è stata costretta ad assistere lucidamente al peggioramento delle proprie condizioni di salute sino al decesso.

Si costituiva in giudizio la convenuta struttura negando ogni fondamento delle domande attoree e adducendo che un tempestivo trasferimento presso la struttura sanitaria non avrebbe scongiurato il tragico evento, anche avendo conto dell’elevato tasso di mortalità che l’infarto al miocardico acuto procura.

La CTU disposta dal Tribunale di Palmi accertava che il tempestivo ricovero della donna presso l’Ospedale avrebbe determinato un aumento di possibilità di sopravvivenza per la medesima nella misura del 3%.

Secondo il Tribunale, siccome il danno da perdita di chances consiste nella mancata possibilità di conseguire un risultato utile ed è caratterizzato da incertezza non causale bensì eventistica, la CTU comprova che l’imperizia dei sanitari del 118 ha impedito di rallentare il decorso della malattia. Pertanto, visti gli esiti dell’istruttoria, il Tribunale ritiene provato il danno lamentato iure proprio dagli attori per la perdita di chances di prosecuzione del rapporto parentale con la madre. Ad avviso del Giudice adito, infatti, tale tipologia di danno va liquidato in via equitativa, per effetto del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c., secondo i criteri di calcolo offerti dalle Tabelle del Tribunale di Milano e deve essere risarcito nella misura della percentuale di probabilità di sopravvivenza accertata nel caso concreto, ossia del 3%. Viene, dunque, condannata parte convenuta a risarcire a ciascun attore la somma di € 2.581,26.

Le menzionate ulteriori domande di risarcimento vengono integralmente rigettate. Circa il risarcimento del danno biologico patito dai figli in seguito al decesso della madre, il Tribunale dichiara che gli attori non hanno addotto alcuna prova in merito alla patita compromissione dello stato di salute fisica e psichica. Nemmeno risarcimento dei danni iure hereditatis trova accoglimento: il danno biologico terminale patito dalla vittima è addebitabile alla malattia, non alla condotta degli operatori sanitari; non vengono addotti elementi probatori, nemmeno presuntivi, relativamente al danno catastrofale.

Tribunale di Palmi, Sez. civ., sent. 21 novembre 2024, n. 764.