PROFILI DI RESPONSABILITÀ DELLA STRUTTURA SANITARIA E CONDOTTE AUTOLESIVE DEL PAZIENTE

di Davide Maurelli -

Nel 2007, a seguito della separazione dalla moglie, un uomo intreprendeva un percorso di psicoterapia per una sintomatologia ansioso-depressiva di media-grave entità, associata a conflitti emotivi e relazionali (sospettosità, diffidenza, ritiro sociale, chiusura, calo della produttività lavorativa, aggressività verbale e comportamenti impulsivi sia verso i familiari che durante le sedute).

Il 14 agosto 2008, a fronte degli scarsi benefici ottenuti e su indicazione di uno specialista, l’uomo si sottoponeva ad una visita psichiatrica, al termine della quale gli veniva diagnosticato un disturbo depressivo maggiore e prescritta una terapia farmacologica. In seguito a lievi miglioramenti, l’uomo comunicava telefonicamente al proprio medico curante la volontà di interrompere la terapia, nonostante il parere contrario dello stesso professionista. Tuttavia, l’8 ottobre 2008, il quadro clinico peggiorava rapidamente, evolvendo in senso psicotico. Il medico curante, pertanto, confermava la terapia farmacologica già prescritta, aggiungendovi un regolatore dell’umore e consigliando di rivolgersi al centro di salute mentale.

Il 10 ottobre 2008, l’uomo si recava, accompagnato dai genitori e in regime di libero accesso, presso il centro indicato, dove veniva sottoposto a visita specialistica. Il medico incaricato della visita specialistica lo trovava composto nell’aspetto e nel comportamento. Nel corso della visita, l’uomo riferiva di attraversare un periodo di difficoltà affettive, economiche e relazionali, chiedendo aiuto per un reinserimento sociale attraverso l’ingresso in una comunità terapeutica.

All’esito della visita, il medico rilevava un’anamnesi psichiatrica negativa, aggravata dalla decisione arbitraria del paziente di interrompere (ovvero non seguire) la terapia farmacologica. Per questo motivo, consigliava un ricovero preliminare in vista del possibile inserimento in comunità. Il paziente rifiutava in un primo momento il ricovero, dichiarandosi lucido e consapevole. In seguito, in ragione di quanto gli veniva rappresentato dal medico, chiedeva di poter uscire a fumare: per ragioni di sicurezza, gli veniva concesso di farlo nell’ambulatorio dell’accettazione. Poco dopo, l’uomo si lanciava dalla finestra del bagno situato al piano sopraelevato della struttura.

Immediatamente soccorso, veniva trasportato al pronto soccorso, dove gli veniva diagnosticato un politrauma da precipitazione: ematoma subdurale occipito-temporale, ferita lacero-contusa intracranica, pneumoencefalo occipitale bilaterale, emorragia subaracnoidea frontale bilaterale, frattura della teca cranica, pneumotorace, addensamento polmonare bilaterale, frattura della scapola sinistra e fratture vertebrali dorsali (D7-D10).

Sopravvissuto, nel 2017 l’uomo conveniva in giudizio, ai sensi dell’art. 702bis c.p.c., le Aziende USL di Forlì e Rimini, deducendo responsabilità contrattuale per danno da disorganizzazione sanitaria a seguito dell’evento del 10 ottobre 2008, e quantificando il danno in Euro 1.500.000,00. L’attore contestava l’assenza di adeguate misure organizzative e di sicurezza presso il centro di salute mentale, da lui definito struttura aperta e non custodita, priva di idonei presidi di contenimento e sorveglianza.

Le Aziende USL si costituivano in giudizio, contestando ogni addebito e precisando la natura non detentiva del centro di salute mentale, dove non possono essere applicate misure coercitive in assenza di TSO. L’evento veniva qualificato dalle Aziende USL come atto lucido e imprevedibile di fuga dal trattamento, escludendo ogni responsabilità professionale e organizzativa.

Il Tribunale di Forlì convertiva il rito in ordinario, istruiva la causa documentalmente e disponeva una CTU. Con sentenza n. 963/2021, riconosceva la natura contrattuale dell’azione ma rigettava integralmente la domanda, ritenendo provata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione sanitaria per fatto imprevedibile e improvviso del paziente, senza violazione di obblighi normativi o clinici. Considerata la particolarità del caso, il prefato Tribunale compensava integralmente le spese processuali, ponendo le spese di CTU a carico paritetico delle parti.

L’uomo proponeva appello affidato a cinque motivi, tutti dichiarati inammissibili e/o infondati dalla Corte d’Appello di Bologna, che condannava lo stesso anche alla rifusione delle spese processuali in favore delle Azienda USL, liquidate in Euro 17.000,00.

App. Bologna, 728_2025_Davide Maurelli