L’irretroattività della legge Gelli-Bianco

di Marco Chironi -

Con ordinanza del 7 marzo 2025 n. 6134 i giudici di legittimità si sono pronunciati sull’inefficacia retroattiva della Legge Gelli-Bianco.

La sentenza della Corte di appello, impugnata in via principale dalla struttura sanitaria e in via incidentale dai congiunti del paziente, aveva parzialmente riformato la sentenza emessa dal giudice di prime cure nella parte in cui era stato condannato il medico al risarcimento dei danni subiti dal paziente a seguito di una prestazione anestesiologica. Era stata invece confermata la condanna al risarcimento danni della struttura sanitaria.

La Corte territoriale applicando la legge n. 24/2017 aveva ricondotto la responsabilità del medico alla disciplina ex art. 2043 c.c. e in termini contrattuali quella della struttura sanitaria. Tuttavia, la Suprema Corte ha rilevato l’inapplicabilità della legge Gelli-Bianco, trattandosi di una normativa entrata in vigore in epoca successiva alla vicenda dedotta nel giudizio.

Per tali ragioni, la Corte di Appello ha erroneamente richiamato la predetta legge per riconoscere la responsabilità della struttura sanitaria. A quest’ultima è infatti riconosciuto un interesse alla corretta individuazione della disciplina applicabile, avuto riguardo alla prospettiva dell’eventuale esercizio stessa di un’eventuale azione di rivalsa nei confronti del medico responsabile dei fatti dannosi dedotti in giudizio.

Parimenti, i giudici di legittimità hanno accolto parzialmente il ricorso incidentale proposto dai congiunti del paziente, ove era censurata la decisione del giudice di secondo grado per aver applicato l’art. 7, comma 3, della legge Gelli-Bianco, con conseguente riconduzione della responsabilità del sanitario alla fattispecie aquiliana. Invero, anche la responsabilità dell’anestesista la Corte di Appello avrebbe dovuto essere esaminata in relazione alla disciplina ratione temporis vigente, con la conseguenza che, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche con presunzioni, il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere del sanitario provare la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

La Corte territoriale, ritenuto provato il nesso di causalità tra la condotta dell’anestesista e l’evento dannoso, avrebbe dovuto esaminare l’eventuale prova liberatoria dell’anestesista e, in assenza, riconoscerne la responsabilità solidale.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha cassato in parte la sentenza impugnata, e rinviato ad altra Corte di Appello, in diversa composizione.

Cass. n. 6134_2025