L’indennizzo ex l. 210/1992 e i profili pubblicistici che impongono la verifica presso le autorità amministrative

di Stefano Corso -

Una donna si ammalava di epatite C, per l’infezione del virus HCV, a seguito di trasfusioni di sangue infetto praticate in ospedale nel 1982. Riceveva una prima diagnosi di epatopatia e poi, nel 1991 le era diagnosticata la cirrosi epatica. Presentata la domanda di indennizzo ai sensi della l. n. 210 del 1992, in seguito moriva. Il marito agiva in giudizio, come coniuge ed erede della paziente, nei confronti del Ministero della salute, domandandone la condanna al risarcimento dei danni patiti. La Corte territoriale riformava la sentenza del giudice di primo grado, che aveva rigettato la domanda per avvenuta prescrizione, ritenendo, in particolare, che la prescrizione doveva considerarsi interrotta con l’invio di alcune raccomandate da parte dell’attore e che non andava decurtato dalle spettanze risarcitorie l’indennizzo ex l. 210/1992, poiché non si era data dimostrazione dell’effettivo pagamento né del fatto che lo stesso fosse determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati, della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum. Perciò accoglieva la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. Avverso questo provvedimento il Ministero proponeva ricorso per cassazione.

Tra le censure avanzate, si prospetta la violazione degli artt. 1219 e 2943 c.c., poiché la Corte d’appello avrebbe errato ad escludere la decurtazione dell’indennizzo, ammesso dalla stessa parte istante come richiesto e corrisposto, il tutto senza informarsi presso gli uffici pubblici competenti.

La Cassazione rileva che la corresponsione dell’indennizzo è stata ammessa e accertata, nella decisione impugnata, tra l’altro affermata dall’attore stesso nella raccomandata interruttiva della prescrizione. Richiamando la giurisprudenza di legittimità, ribadisce poi che «l’utilizzo del potere di acquisire informazioni presso le competenti articolazioni amministrative non può obliterarsi immotivatamente, perché necessario a “rendere conseguente il rilievo officioso stesso, funzionale, a sua volta, a inibire un’ingiustificata locupletazione altrimenti risultata certa, sia pure non nella sua misura, e come tale non legittimamente validabile, sovrapponendo inammissibilmente l’indennizzo erariale, accertato come erogato, alla statuizione risarcitoria gravante sulla parte pubblica, ovvero alterando la conformazione delle spettanze quale oggettivamente prevista, nell’ipotesi, dall’ordinamento, con profili pubblicistici, così delimitandosi, in questo caso, anche il principio per cui, di regola, l’omesso esercizio del potere di acquisizione informativa in parola non è suscettibile di un sindacato di legittimità” (Cass., 30.1.2024, n. 2840)».

La Cassazione precisa che, una volta dimostrata la liquidazione dell’indennizzo – cui si presume segua la percezione dello stesso – «il giudice di merito deve richiedere le necessarie informazioni alle competenti autorità amministrative». La verifica è imposta dai «profili pubblicistici implicati».

«La conclusione, che inoltre il giudice di merito potrà trarre anche all’esito dell’esperimento di mezzi istruttori officiosi quali l’interrogatorio libero – aggiunge – è coerente con la compiuta portata del principio di effettività della tutela, da ritenersi esteso anche ai soggetti pubblici che, con fondi comuni, assicurino complessivamente quella ai soggetti pregiudicati».

Pertanto il ricorso è accolto e la sentenza è cassata con rinvio.

Cass. civ., Sez. III, Ord., 12.2.2025, n. 3587