L’azione di rivalsa della struttura nei confronti del medico: contenuti, limiti e onere della prova

di FRANCESCA CEREA -

CASS., CIV., III sez., 11 novembre 2019, n. 28987

L’azione di rivalsa della struttura nei confronti del medico: contenuti, limiti e onere della prova

La Suprema Corte, con sentenza 11 novembre 2019, n. 28987, affronta la questione relativa al regime dell’azione di rivalsa, ovvero di regresso, esercitata dalle Strutture sanitarie in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 24 del 2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco) nei confronti dei propri medici ritenuti responsabili di aver causato un danno ai pazienti.

Nel caso di specie una donna si sottoponeva, negli anni tra il 1999 e il 2004, ad un triplice intervento di mastoplastica al seno erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima; ella agiva quindi in giudizio nei confronti del chirurgo e della casa di cura chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti.

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda risarcitoria e dichiarava la responsabilità solidale della Struttura sanitaria e del medico. La Corte d’appello di Napoli, dinanzi alla quale veniva impugnata la sentenza, confermava la decisione di primo grado sulla base dell’automatica estensione ex art. 1228 c.c. della responsabilità del medico alla Struttura che se ne avvale per l’espletamento della prestazione sanitaria, non ammettendo alcuna differente graduazione delle colpe tra chi aveva male eseguito gli interventi e chi – la Struttura – avrebbe dovuto assicurarne l’esecuzione ad opera di professionista idoneo. Avverso questa pronuncia la Struttura sanitaria proponeva ricorso per Cassazione.

In particolare la ricorrente contestava come il giudice a quo avesse mancato di rilevare che “poiché non era stata addebitata alcuna censurabile condotta causativa alla struttura, non poteva porsi tale posizione sullo stesso piano di quella, colposa ed eziologica, del chirurgo, sicché avrebbe dovuto affermarsi, ai fini interni del regresso, l’esclusiva responsabilità del medico”.

Il Supremo Collegio, dopo aver in via preliminare fornito una ricostruzione dei presupposti e della corretta qualificazione giuridica dell’istituto della rivalsa, si occupa di identificare contenuto e limiti quantitativi della relativa azione in tema di responsabilità medica, ambito nel quale sarebbero secondo la Corte prospettabili, in astratto, tre diverse soluzioni:

– danno da malpractice addebitato alla sola Struttura senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, a fronte di una condotta dell’ausiliario inserita, senza deviazioni, nel percorso attuativo dell’obbligazione assunta;

– danno da malpractice addebitato in sede di rivalsa al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest’ultimo nella produzione dell’evento di danno;

– danno da malpractice ripartito tra Struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo, salvo i casi del tutto eccezionali di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute che accomuna tali soggetti.

I giudici di legittimità, ritenendola più conforme a diritto, scelgono di aderire all’ultima delle impostazioni indicate precisando, in punto di quantificazione del giudizio di rivalsa, l’applicabilità dei criteri generali di cui agli artt. 1298 e 2055 c.c. da cui deriva la necessità di parametrare la misura del regresso alla gravità delle rispettive colpe e all’entità delle conseguenze che ne sono derivate. In mancanza di prova da parte del solvens circa la diversa gradazione delle colpe e la derivazione causale del sinistro, dovrà però trovare applicazione il principio presuntivo di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali.

Calando tali principi nell’ambito della responsabilità sanitaria, la Suprema Corte osserva che, avvalendosi la Struttura della collaborazione di operatori sanitari per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale nei confronti del paziente, la responsabilità della stessa per i danni causati dai propri ausiliari trova radice nel rischio d’impresa connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione ex art. 1228 c.c..

In particolare, osserva la Corte, la prestazione negligente del medico non può essere agevolmente isolata dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla Struttura; ne deriva l’operatività del principio presuntivo di divisione paritaria pro quota dell’obbligazione solidale tra la Struttura stessa ed il medico, presunzione che potrà essere superata unicamente mediante la dimostrazione da parte dell’ente non soltanto della colpa esclusiva dell’operatore, ma altresì della derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del medico dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile malpractice. In assenza di tale prova l’ente dovrà essere ritenuto corresponsabile, sul piano dei rapporti interni, secondo la presunzione di pari contribuzione al danno di cui sono espressione l’art. 1298, comma 2° c.c. e l’art. 2055, comma 3° c.c. Diversamente opinando infatti, chiariscono i giudici, una rivalsa integrale della Struttura nei confronti del medico farebbe carico al solo sanitario del rischio d’impresa, invece gravante sull’azienda ospedaliera, dovendo la stessa conformarsi a criteri di organizzazione e gestione oggettivi distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico.

In applicazione di tali principi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, non avendo la Struttura sanitaria ricorrente provato né allegato alcuna imprevedibile e del tutto dissonante malpractice medica tale da interrompere il nesso di causa tra la propria condotta e il danno lamentato dalla paziente.

FRANCESCA CEREA

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