L’ACCERTAMENTO DELL’INCIDENZA CAUSALE DEL COMPORTAMENTO DEL MEDICO NELLA RESPONSABILITÀ DEI SANITARI

di Davide Maurelli -

Una donna, alla trentasettesima settimana di gravidanza, si recava dal proprio ginecologo per un controllo di routine. Sino a quel momento, dai precedenti esami di routine non erano mai state rilevate nel feto patologie congenite o anomalie. Il medico, rilevato un anomalo battito fetale, all’esito del controllo invitava la donna a ricoverarsi, onde sottoporsi ad un parto cesareo d’urgenza presso una clinica privata e non già presso la struttura ospedaliera pubblica più vicina. Alla nascita il bambino presentava un punteggio Agpar scarso e per tale motivo veniva immediatamente trasferito presso la terapia intensiva neonatale del Policlinico. Veniva successivamente dimesso con diagnosi di asfissia perinatale, convulsioni, ipertensione polmonare e leucomacia periventricolare. Le predette patologie determinavano a carico dell’infante, inter alia, tetraparesi spastica a carico dell’emisoma destro, ritardo mentale, turbe comportamentali, deficit visivo ed epilessia.

I genitori del bambino, in proprio e nella loro qualità genitoriale, agivano in giudizio nei confronti del medico e della clinica privata per il risarcimento del danno subito in conseguenza delle patologie residuate in capo al neonato a causa della loro negligenza e intempestività. Venivano convenute in giudizio le relative compagnie di assicurazione e veniva espletata la CTU, in esito alla quale il Giudice di prime cure dichiarava l’inadempimento contrattuale del medico e della struttura sanitaria privata, condannandoli al risarcimento del danno in favore del minore e di entrambi i suoi genitori. La Corte d’Appello di Roma, dopo aver disposto due CTU, rilevava alcuni profili di negligenza nell’operato  del medico e della clinica privata, ma li riteneva causalmente irrilevanti e pertanto riformava radicalmente la sentenza di prime cure, escludendo la responsabilità sia del medico che della clinica.

In particolare, il giudice di secondo grado riteneva che, alla luce delle considerazioni svolte in tutte e tre le consulenze tecniche non fosse stato accertato, neppure con valutazione probabilistica, il nesso causale tra l’operato del medico e della clinica e i danni riportati dal bambino. Il Giudice di seconde cure non affrontava la questione relativa all’eventuale configurabilità di un danno da perdita di chance, poiché non era stata proposta dagli attori una autonoma domanda. In definitiva, la Corte d’Appello condannava gli appellati a restituire le somme percepite in forza della sentenza di primo grado.

I genitori del bambino, in proprio e nella loro qualità genitoriale, hanno affidato a sei motivi il proprio ricorso per cassazione, tutti dichiarati inammissibili e/o infondati.

Il ricorso è stato quindi rigettato e le spese di lite, in relazione alla particolarità della vicenda, compensate tra le parti.

Cass. 1289_2025 – Maurelli