La personalizzazione del danno non patrimoniale derivate da lesione alla salute

di PATRIZIA ZIVIZ -

CASS., CIV., III sez., 11 novembre 2019, n. 28988

La personalizzazione del danno non patrimoniale derivate da lesione alla salute

Un’errata manovra da parte dei sanitari al momento del parto, fonte di una distocia della spalla, determina a carico del neonato un’invalidità permanente del 13%. Il ricorso in Cassazione, da parte dell’assicurazione dei danneggianti, si fonda –  per quanto riguarda il danno riconosciuto a favore del minore – su due motivi.

Il primo motivo concerne il profilo della personalizzazione del danno non patrimoniale discendente dalla lesione alla salute, applicata dal giudice di merito nella misura massima; i ricorrenti sostengono che tale operazione andrebbe riferita a situazioni assolutamente particolari, non emergenti nel caso di specie. La S.C. accoglie il motivo, affermando che la misura standard del risarcimento determinata attraverso l’applicazione delle tabelle normative ovvero di quelle giurisprudenziali può essere aumentata solo in presenza di “conseguenze del tutto anomale ed affatto peculiari”, mentre le compromissioni da ritenersi normali, in quanto indefettibili per qualunque soggetto che abbia patito una menomazione identica, non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Quest’ultima operazione appare praticabile solo per “le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa della peculiarità del caso concreto”. La S.C. afferma, in particolare, che le circostanze di fatto le quali giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale, integrando un fatto costitutivo della pretesa, devono essere allegate in modo circostanziato e provate, anche attraverso l’allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici.  Posto che, nel caso di specie, la vittima aveva riportato postumi permanenti nella misura del 13%, prossima al tetto delle micropermanenti, non risulta – secondo la Cassazione – giustificata la personalizzazione applicata nella percentuale del 40%, mancando nella pronuncia di merito qualsiasi indicazione delle ragioni per cui quel pregiudizio non risultava assorbito nella liquidazione standard del punto, nonché dei criteri sottesi a un incremento così significativo, pur in presenza di una menomazione lieve.

I giudici di legittimità si rifanno alle affermazioni già in precedenza formulate in seno a Cass. 7513\2018 – nota per aver proposto una sorta di “decalogo” in materia di danno non patrimoniale – secondo cui le compromissioni dinamico-relazionali di carattere ordinario sono comprese all’interno del calcolo tabellare. Tale conclusione sembra trovare conferma in seno alle tabelle milanesi: le quali, a partire dal 2008, sono state costruite con riferimento a un valore del punto comprensivo degli aspetti anatomo-funzionali, degli aspetti relazionali e dei profili di sofferenza soggettiva, intesi quali valori medi. La chiave del discorso riguarda, allora, il significato che assume il riferimento al valore medio del danno relazionale. Particolare riguardo va riservato al concetto di “attività straordinaria” cui si rifà la Cassazione: la personalizzazione, infatti, non può riguardare soltanto l’esplicazione di attività dinamico-relazionali aventi carattere idiosincratico. Il punto da considerare riguarda il peso che l’attività compromessa riveste nell’assetto esistenziale globale della vittima; per cui, se essa comporta un impegno che va al di là dell’ordinario, sicuramente si tratterà di procedere a una personalizzazione. Basta osservare che, ove ci si attenesse all’idea propugnata dai giudici di legittimità, il neonato – non avendo alcun tipo di esplicazione dinamico-relazionale concreta, ma solo potenziale – verrebbe ad essere per definizione escluso da operazioni di personalizzazione. Diversamente, si tratta di valutare proprio il fatto che – in ragione della menomazione subita – quell’individuo non potrà indirizzarsi a determinati tipi di attività realizzatrici della persona, ordinarie o straordinarie che siano.

Un ulteriore nodo critico riguarda il fatto che nelle tabelle – a ogni valore percentuale del punto – corrispondono menomazioni di carattere variegato; per cui, a parità di percentuale di invalidità, potremmo trovarci di fronte a menomazioni suscettibili di riflettersi con portata diversificata sul piano dinamico-relazionale. La personalizzazione, quindi, potrà rendersi necessaria in tutti i casi in cui un certo tipo di menomazione comporti, ancorché sul versante ordinario, una ripercussione relazionale di particolare impatto, tale da non poter trovare riscontro in maniera esaustiva entro il valore medio indicato in tabella.

Passando al secondo motivo –  anch’esso accolto dai giudici di legittimità –  questo concerne la determinazione del danno patrimoniale relativo alla capacità lavorativa del minore. La Cassazione osserva come non risulti chiaro se in sede di appello il danno sia stato valutato in termini di incapacità lavorativa specifica o generica. Quanto a quest’ultimo profilo, la S.C. rammenta che il danno alla capacità lavorativa generica rientra nell’alveo di quello biologico, poiché il pregiudizio non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione all’efficienza psicofisica, e va perciò valutato in termini di cenestesi lavorativa, attraverso un appesantimento del danno biologico (salvo in caso in cui la maggiore usura e penosità del lavoro non determinino la riduzione della capacità di produrre reddito). Per quel che concerne, invece, le ripercussioni negative sul reddito della vittima, la S.C. osserva che la prova della presumibile attività futura della vittima va supportata da presunzioni gravi, precise e concordanti (e non già tramite il riferimento all’attività svolta dal padre del danneggiato), verificando se la menomazione determini una concreta incidenza su determinate tipologie di attività lavorative.

Le conclusioni cui perviene la Cassazione sul profilo del danno patrimoniale sembrano trascurare il punto essenziale del discorso, riguardante il fatto che la lesione risulta arrecata a un neonato: soggetto con riguardo al quale, per definizione, ogni pronostico riguardante la futura vita lavorativa appare impraticabile. A venire in evidenza risulta, essenzialmente, la perdita di chance lavorative che quel certo tipo di menomazione determina in capo alla vittima: la quale si vede privata, in radice, dell’opportunità di praticare un certo ventaglio di attività lavorative. È, dunque, la privazione di tale possibilità ad assumere una valenza di carattere economico, al di là di qualunque prognosi quanto alla contrazione di supposti redditi futuri.

PATRIZIA ZIVIZ

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