La colpa medica non può anteporsi al nesso causale. Il caso dell’intervento bariatrico e della dieta non seguita

di Stefano Corso -

In tema di inadempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato), sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

Questo è il principio di diritto ribadito dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 15066 del 2025.

Nel caso di specie, una donna affetta da obesità si sottoponeva, presso una struttura privata, a un intervento bariatrico di bypass gastrico. Poiché in seguito riteneva che l’operazione non avesse prodotto i risultati sperati, sostenendo che la sua condizione di obesità non era migliorata e, al contrario, erano emerse alcune problematiche connesse all’apparato gastrico che avrebbero determinato una condizione di invalidità permanente del 10%, agiva in giudizio nei confronti della struttura e dei medici coinvolti, domandandone la condanna al risarcimento dei danni patiti.

Contro la pronuncia della Corte d’appello di Milano, che confermava la sentenza di rigetto del giudice di primo grado, ella proponeva ricorso per cassazione.

La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso per ragioni di carattere processuale, ma prende ugualmente in esame alcuni aspetti attinenti alla fondatezza della pretesa. In particolare, evidenzia che, secondo la ricorrente, da un lato, la presenza di disturbi fisici e psichici insorti successivamente all’intervento ne proverebbe ipso facto la riferibilità all’atto chirurgico e, dall’altro, vi sarebbe il mancato assolvimento di controparte all’onere probatorio sulla riferibilità delle lamentate menomazioni ad un fatto non prevedibile o non evitabile.

La decisione della Corte di merito, tuttavia, risulta coerente, motivata e rispettosa dei principi di diritto e delle norme regolatrici della responsabilità sanitaria. Si è basata, infatti, sulla considerazione che per la struttura sanitaria l’onere di dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e il danno lamentato. Nel caso in esame, si assume invece l’esclusione certa della riferibilità delle condizioni invalidanti lamentate dalla paziente alla terapia chirurgica, correttamente praticata secondo i protocolli previsti per la patologia da cui era affetta, a fronte peraltro della condotta della stessa, che aveva interrotto i controlli periodici e non aveva seguito una dieta idonea.

In altri termini, non è possibile anteporre la questione della colpa medica a quella del nesso causale, il cui onere grava sulla parte deducente.

Cass.-civ._-Sez.-III_-Ord._-5.6.2025_-n.-15066 (1)