Indennizzo per danno da emotrasfusione e risarcimento per invalidità temporanea: la Cassazione esclude la compensatio lucri cum damno

di Francesca Cerea -

Un uomo si sottoponeva, tra il 1981 e il 1982, ad una serie di trasfusioni a seguito delle quali contraeva l’epatite C. Agiva, dunque, in giudizio contro il Commissario liquidatore dell’USL competente e la Regione Emilia Romagna per ottenere il risarcimento del danno.

Il Tribunale condannava l’USL e, in manleva, le compagnie assicuratrici della Regione, liquidando la somma di € 31.790,00 a titolo di risarcimento per l’invalidità temporanea sofferta dall’attore. La Corte d’Appello riformava integralmente la sentenza, rigettando la richiesta di risarcimento e compensando le spese di lite.

In particolare il giudice del secondo grado evidenziava che al paziente «erano state riconosciute dal Ministero della Difesa a titolo di indennizzo ai sensi della l. n. 210 del 1992 la somma di Euro 28.883,27 quale rateo relativo al periodo 1° agosto 1997 – 31 dicembre 2001 e la somma di Euro 1.091,53 pari all’ importo di due mensilità da corrispondere in rate posticipate a partire dal 1° gennaio 2002 per tutta la vita, per cui non aveva titolo a ricevere la somma riconosciuta dal Tribunale».

Il paziente affida a due motivi il suo ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte dichiara infondato il primo motivo, con cui il ricorrente osserva che nel caso di specie il principio della compensatio lucri cum damno non opera perché l’ente erogante l’indennizzo (il Ministero) è soggetto diverso dal danneggiante (Regione e Commissario liquidatore) e, non essendo prevista la surroga, il responsabile civile e le società assicuratrici si arricchirebbero indebitamente a causa della riduzione, o annullamento, del debito risarcitorio.

Sul punto il Collegio intende dare continuità all’orientamento secondo cui «in caso di responsabilità per contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, opera la “compensatio lucri cum damno” fra l’indennizzo ex l. n. 210 del 1992 e il risarcimento del danno anche laddove solo in apparenza non sussista coincidenza fra il danneggiante e il soggetto che eroga la provvidenza, allorquando possa comunque escludersi che, per effetto del diffalco, si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile benché la legge non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa sul danneggiante in favore di chi abbia erogato l’ indennizzo».

In particolare, osserva il Collegio, l’erogazione dell’indennizzo, originariamente gravante sul Ministero della Salute, è stata successivamente demandata alle Regioni, sia pur fatta salva la persistente legittimazione passiva del Ministero nelle controversie volte al riconoscimento dell’indennizzo. Nella materia sussiste, pertanto, una legittimazione processuale passiva soltanto formale del Ministero, attesa l’attribuzione delle relative funzioni amministrative alle Regioni, che godono (e dispongono in via autonoma), allo scopo, di trasferimenti di risorse dal bilancio statale e che risultano, conseguentemente, i soggetti materialmente obbligati all’erogazione della prestazione indennitaria.

Quanto al secondo motivo il ricorrente lamenta che il danno liquidato dal Tribunale fosse relativo alla sola invalidità temporanea sofferta, mentre l’indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 ha diversa natura in quanto da intendersi quale somma riconosciuta a titolo di invalidità permanente, sicché la Corte d’Appello non avrebbe dovuto scomputare l’indennizzo dall’importo previsto dal giudice di primo grado.

La doglianza risulta fondata. Invero, la S.C. osserva che i presupposti di fatto delle due attribuzioni patrimoniali, pur accomunate dalla medesima condotta lesiva e dal medesimo evento di danno, sono diversi, posto che l’una risarcisce l’inabilità temporanea, l’altra indennizza la menomazione permanente. L’eterogeneità del presupposto di fatto impedisce di configurare l’ingiustificato arricchimento che presiede all’istituto della compensatio lucri cum damno.

Cass. n. 4415-2024 – oscurata