Il principio di relatività applicato al contratto di spedalità: nessun effetto protettivo verso i terzi congiunti del paziente

di Paola Merli -

Coinvolto in un sinistro stradale, il conducente della vettura incidentata veniva ricoverato presso l’ente convenuto in stato comatoso con trauma cranio-cervico-facciale e danno assonale diffuso.

Ivi decedeva infine per arresto cardio-circolatorio, ascritto dal Tribunale di Catanzaro all’erroneo trattamento terapeutico intrapreso dal personale incaricato: un esame neurologico obiettivo con monitoraggio multiparametrico avrebbe – con “più probabilità che non” – aumentato la chance di sopravvivenza del paziente.

Investito dalle doglianze risarcitorie dei suoi congiunti, il giudicante si sofferma sulla natura della responsabilità sanitaria azionata, giusta le specificità disciplinari conseguenti, probatorie e prescrizionali innanzitutto.

Senz’altro ex contractu sono le domande coltivate iure hereditatis: esse traggono titolo dall’“azione del paziente nei confronti della struttura sanitaria”, che “ha pacificamente natura contrattuale, e ciò anche per i fatti avvenuti prima della L. n. 224 del 2017”.  

Non altrettanto può dirsi rispetto alle pretese avanzate dagli attori iure proprio.

Preliminarmente, si osserva, il contratto di spedalità sub iudicenon è […] un contratto con effetti protettivi”: quest’ultimo si intende infatti “circoscritto” al “campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione”, in quanto “eccezione” al principio di relatività (cfr. art. 1372 c.c.).

Ne deriva che il negozio dedotto “esplica i suoi effetti tra le sole parti […]” (qui, il de cuius e la struttura) e “non […] a favore dei terzi” (qui, i congiunti del de cuius).

Rispetto ad essi, la malpractice medica non rappresenta dunque un “inadempimento dell’obbligazione sanitaria”, bensì un “fatto illecito verificatosi nel rapporto tra altri”. Da collocare, come tale, “nell’ambito della responsabilità extracontrattuale”.

Trib. Catanzaro 25 agosto 2023 v. 2