Danno da vaccinazione obbligatoria e individuazione del dies a quo per il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno

di Giovanni Pisanu -

Nel giugno 2003 una donna si sottoponeva alla somministrazione del vaccino antiepatite A, cui seguiva il richiamo nel gennaio 2004; a distanza di una settimana ella manifestava disturbi tali da renderne necessario il ricovero presso una struttura ospedaliera, ove le veniva diagnosticata “collagenopatia a tipo LES” per cui le veniva prescritta una terapia cortisonica.

Nonostante ciò, la patologia presentava episodi di riacutizzazione con aggravamento della diagnosi in “Lupus Eritematoso Sistemico”.

La donna decideva di adire il Tribunale di Lecce domandando la condanna in solido del Ministero della Salute e dell’Azienda Sanitaria Locale di Brindisi al risarcimento del danno conseguente alla patologia insorta, ritenuta  derivare dalla somministrazione del vaccino.

Il Tribunale rigettava le pretese attoree accogliendo, anzitutto, l’eccezione del Ministero relativamente alla già maturata prescrizione del diritto al risarcimento. Ad avviso del Tribunale, infatti, il danno era percepibile e causalmente riferibile al vaccino antiepatite A già dal mese di aprile 2004; ne consegue che il primo atto astrattamente idoneo ad interrompere il decorso del termine di prescrizione, ossia la raccomandata notificata all’Asl nel maggio 2009, era da ritenersi tardivo. Inoltre, veniva negata l’applicabilità al caso concreto dell’art. 2050 c.c. in riferimento al Ministero della Salute, giacché i compiti di quest’ultimo, consistenti in prevenzione, vigilanza e controllo, non erano inquadrabili come attività pericolosa. Inoltre, dichiarava insussistente l’omissione di condotta atta ad impedire l’evento dannoso poiché, come rilevato dalla CTU, l’AIFA non indicava la patologia insorta nella donna tra le possibili conseguenze della vaccinazione antiepatite A.

Relativamente alle pretese risarcitorie nei confronti dell’Asl, il Tribunale escludeva ogni responsabilità della medesima essendo la vaccinazione una prestazione obbligatoria a tutela della salute pubblica. Infine, il Tribunale statuiva che, alla luce dell’esito della CTU, comunque parte attrice non aveva fornito alcuna prova circa l’inadempimento e il nesso causale intercorrente tra il medesimo e il danno patito.

La pronuncia veniva confermata in appello.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso della signora, afferma che il dies a quo per il decorso della prescrizione va individuato nella data di presentazione della domanda di indennizzo per danni da vaccinazione obbligatorie di cui alla l. n. 210/1992. Difatti, è da escludere che prima di tale data parte attrice fosse a conoscenza dell’ingiustizia del danno e della possibilità di tutelarlo giuridicamente. Riprendendo un consolidato orientamento, la Corte ribadisce che la mera diagnosi della malattia non è equiparabile alla riferibilità causale della medesima alla vaccinazione, salva la prova anche a mezzo di presunzione semplice da parte del controinteressato, dunque del Ministero o dell’Asl, di un livello di conoscenze mediche del danneggiato tali da ritenere che lo stesso fosse in grado di collegare consapevolmente la malattia diagnosticata alla vaccinazione anche prima della proposizione della domanda amministrativa.

Pertanto, ad avviso della Suprema Corte, né la richiesta rivolta all’Asl, né gli atti di citazione in giudizio notificati alle convenute sono da ritenersi tardivi.

La Suprema Corte, ritenuti assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

Cass. civ., sez. III, ord. 16_02_2025, n. 3978