Complicanze operatorie rare e responsabilità della struttura ospedaliera

di Maria Grazia Peluso -

Un uomo veniva sottoposto a un intervento di resezione di un adenoma prostatico. Nel corso dell’operazione si verificava una lesione vescicale da scoppio di gas, a cui seguiva una procedura d’urgenza, all’esito della quale il paziente non avrebbe dovuto muoversi per almeno 48 ore.

Nonostante detta prescrizione, il paziente veniva movimentato dal personale sanitario. Durante le manipolazioni, dirette alla sostituzione delle calze anti-trombosi, l’uomo avvertiva un forte dolore a cui seguiva una violenta emorragia; veniva quindi trasportato con urgenza presso una differente struttura, ove veniva sottoposto a un intervento di ricostruzione della vescica.

All’esito di questo intervento, nonostante un periodo di riabilitazione, l’uomo lamentava incontinenza, oltre che una lesione alla propria sfera sessuale. Il paziente citava, dunque, in giudizio l’azienda ospedaliera per malpractice e per la omessa acquisizione del consenso informato, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti.

L’attore allegava che nel corso della prima operazione, con imprudenza e imperizia, l’équipe chirurgica aveva causato un danno vescicale, a cui era seguita una non corretta suturazione e un’omessa gestione del lavaggio vescicale; ciò sarebbe stata la causa della successiva emorragia e dei postumi da questo subiti.

Si costitutiva l’azienda ospedaliera chiedendo il rigetto delle domande attoree e affermando la esclusiva responsabilità del medico operante, essendo stato liberamente scelto dal paziente essendo questo il proprio medico di fiducia. Veniva in subordine contestata altresì la presunta responsabilità in capo al medico operante, non potendo dirsi sussistente una correlazione tra la lesione occorsa durante l’intervento e i postumi dichiarati dall’attore.

Chiamato in causa dall’azienda ospedaliera, si costituiva in giudizio il medico operante, il quale chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree, affermando come la complicanza avvenuta nel primo intervento costituisse un evento raro, imprevedibile e inevitabile e che pertanto alcuna responsabilità potava dirsi sussistete a suo carico.

Il Tribunale di Torino, dopo aver ribadito in via preliminare la natura della responsabilità della struttura ospedaliera e gli oneri probatori in capo alle parti, seguendo il consolidato orientamento della Suprema Corte, ha precisato come, sempre ai sensi dell’art. 1228 c.c., la struttura sia chiamata a rispondere anche in caso di omessa acquisizione del consenso informato, essendo quest’ultima una prestazione necessaria e strumentale all’intervento terapeutico.

Il Giudice piemontese ha poi precisato come la l. n. 24/2017 non prescriva alcuna ipotesi di litisconsortio tra struttura e medico. Pertanto, avendo l’attore correttamente scelto di rivalersi unicamente nei confronti dell’ospedale e non essendo stato rilevato contraddittorio tra l’attore e il medico operante, il Tribunale ha ritenuto come le domande attoree dovessero essere esaminate solo dei confronti dell’azienda ospedaliera convenuta.

Così chiariti i principi regolatori della materia, il Tribunale di Torino, ha ritenuto sussistente una responsabilità contrattuale in capo alla struttura sanitaria per la condotta di malpractice del medico operante, per avere quest’ultimo causato con negligenza, imprudenza e imperizia una lesione sfinterica, non avendo rispettato il limite di resezione, così come individuato dalla letteratura scientifica.

Quanto invece alla complicanza dello scoppio vescicale, all’esito delle risultate peritali emergeva come detto evento dovesse essere considerato come estremamente raro, e il cui rischio non poteva essere azzerato, ma solamente ridotto mediante alcune accortezze, comunque prese nel caso di specie; pertanto, alcuna responsabilità relativamente a questa complicanza è stata ritenuta addebitale al chirurgo.

Infine, il Giudice, dopo aver richiamato i consolidati insegnamenti della Suprema Corte, ha chiarito come l’esistenza di possibili interventi di emenda non possa avere alcuna incidenza sulla quantificazione del danno subito. Difatti, la possibilità del danneggiato di sottoporsi a successivi interventi diretti a limitare il danno o migliorare le proprie condizioni, a prescindere dalle differenti percentuali di riuscita, esulta dall’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227, comma 2°, c.c. Non è dunque richiesta la sottoposizione del danneggiato a rimedi invasivi, incidenti sulla sua persona, al fine di limitare l’aggravamento del danno subito.

Rigettata ogni altra domanda, il Tribunale, accertata la responsabilità della struttura sanitaria per malpractice e riconosciuta una personalizzazione nella misura del 20%, ha condannato l’ospedale convenuto al pagamento in favore dell’attore della somma di €17.442,22 a titolo di danno non patrimoniale e della somma di €9.319,04, a titolo di danno patrimoniale.

Trib. Torino, 31.10.2023, n. 4312, g.u. dott.ssa Paola Ferrero