Plurime risultanze delle CTU, in parte divergenti e in parte concordanti, e loro considerazione nel giudizio di responsabilità civile in ambito sanitario

di Stefano Corso -

Una paziente e suo marito agivano in giudizio, in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minore, verso i sanitari e l’Azienda ospedaliera universitaria presso cui la donna si era recata per partorire, domandandone la condanna al risarcimento dei danni patiti. In particolare, sostenevano che le scelte compiute dai medici circa le modalità con cui era stata fatta partorire avessero cagionato alla gestante lesioni consistenti. La sentenza del giudice di primo grado, che accoglieva in parte la domanda, veniva riformata dalla Corte d’appello di Bologna che invece escludeva il nesso eziologico tra i danni lamentati e la condotta dei sanitari, non ravvisando alcuna criticità nelle sequele del parto, ed escludeva pure il rilievo negativo dell’incompletezza della cartella clinica.

Avverso la pronuncia della Corte territoriale era proposto ricorso per cassazione.

Le censure poggiano tutte sul convincimento che il giudice a quo non abbia valutato comparativamente le relazioni degli esperti o che ne abbia travisato in tutto o in parte le risultanze. Tuttavia la lettura del provvedimento impugnato evidenzia invece come le varie posizioni dei consulenti tecnici, d’ufficio e di parte, siano state esaminate confrontandone le parti concordanti e quelle divergenti. Secondo la Cassazione se «è vero che il potere del giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che possa farlo immotivatamente e non lo esime dalla spiegazione delle ragioni per le quali sia addivenuto ad una certa conclusione diversa rispetto a quella del consulente di parte, non bastando che attribuisca maggior credito al C.T.U. in quanto proprio ausiliare, è altrettanto vero che nella vicenda per cui è causa il giudice a quo non solo non si è limitato ad aderire alle conclusioni del C.T.U., ma ha basato le sue conclusioni sul confronto critico tra le argomentazioni peritali contrastanti».

Un particolare motivo di censura è attinente alla posizione del feto al momento dell’uso della ventosa ostetrica, poiché la cartella clinica non conteneva informazioni sulla posizione del feto in quel momento. La Corte territoriale ha ritenuto opportuno ricorrere al ragionamento deduttivo, formando il suo convincimento circa il fatto che la posizione del feto permettesse l’uso della ventosa sulla scorta delle osservazioni contenute nella C.T.U., ampiamente riprodotte in sentenza.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la presenza di una cartella clinica che presenta omissioni non può ridondare negativamente a carico del paziente, privandolo della possibilità di provare l’inadempimento dei sanitari, anzi la difettosa e irregolare tenuta della cartella clinica va considerata circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, ma soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico ed il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno. Secondo la Cassazione tali circostanze non ricorrono nel caso di specie. Nel caso in esame, infatti, il giudice a quo ha compiuto un accertamento in positivo sulla insussistenza del nesso causale tra la condotta sanitaria e l’evento in pregiudizio della paziente.

Pertanto la Corte rigetta il ricorso.

cass. n. 25477 del 17.9.2025