Onere della prova e nesso di causalità in tema di responsabilità sanitaria

di Francesca Cerea -

Con ordinanza 26 febbraio 2019, n. 5487 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere della prova in tema di responsabilità in ambito sanitario, precisando alcuni aspetti relativi al nesso eziologico.

Nel caso di specie un paziente decedeva per un evento cardiaco acuto poco dopo essere stato visitato, a causa di un persistente dolore al fianco sinistro, da un sanitario del Presidio della Guardia Medica (struttura alla quale si era rivolto, per la stessa ragione, già in due precedenti occasioni nelle quali gli era stato somministrato, in via intramuscolare, un antidolorifico, con prescrizione di un controllo dal medico curante) che lo aveva anche in quel caso “rinviato a domicilio” senza ulteriori approfondimenti diagnostici. In seguito all’archiviazione del procedimento penale seguito alla denuncia-querela contro ignoti sporta dalla moglie e dai figli del defunto, gli stessi agivano in giudizio nei confronti della struttura sanitaria al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti.

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda risarcitoria senza che si facesse luogo all’espletamento di una consulenza tecnica ulteriore rispetto a quella già svolta in sede penale. Secondo l’elaborato del consulente l’invio della vittima presso il Pronto Soccorso avrebbe quantomeno permesso di defibrillare il paziente consentendogli maggiori probabilità di sopravvivenza; tuttavia “la grandezza statistica di tale probabilità, da un punto di vista penalistico, non assurge(va) ai richiesti parametri della ‘ragionevole certezza’” dell’esito salvifico, potendo, nondimeno, “trovare ampia dignità in responsabilità civile, a fronte dell’assunto giuridico del cosiddetto ‘più probabile che non’”. La Corte di Appello di Venezia riformava la sentenza impugnata escludendo la responsabilità dell’appellata azienda sanitaria e mandandola indenne dalla domanda risarcitoria, sostenendo che “non vi (era) riscontro probatorio circa la presenza di personale di PS pronto ad intervenire immediatamente con il defibrillatore e, soprattutto, non (era) dato sapere se il suo utilizzo ‘sarebbe stato salvifico’”. Avverso la sentenza del giudice di secondo grado veniva proposto ricorso per Cassazione.

In particolare i ricorrenti contestano l’errata applicazione da parte del giudice a quo dei principi relativi alla distribuzione dell’onere della prova con riguardo sia al nesso causale tra la condotta omissiva della struttura sanitaria (e, per essa, dei medici che vi operavano) e l’evento dannoso, sia alla imputabilità dell’inadempimento in capo alla stessa.

La Cassazione richiama l’insegnamento, non nuovo, secondo il quale nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle” (v. Cass., 26.7.2017, n. 18392, reperibile nel sito di questa Rivista, con annotazioni redazionali). Spetta dunque in via preliminare al creditore provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto) e, solo una volta che tale dimostrazione sia stata fornita, sorge per il debitore l’onere di provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto) (così, nuovamente, Cass., 26.7.2017, n. 18392; nello stesso senso anche Cass., ord., 23.10.2018, n. 26700; Cass., 4.11.2017, n. 26824; Cass., 15.2.2018, n. 3704; Cass., 7.12.2017, n. 29315; le ultime due pronunce citate sono reperibili nel sito di questa Rivista, con annotazioni di Corso).

In tema di responsabilità sanitaria, precisano i giudici di legittimità, l’accertamento del nesso causale va condotto attraverso una ricostruzione non atomistica della complessiva condotta omissiva della struttura sanitaria indicata dall’attore come idonea a cagionare l’evento, in modo che il singolo episodio sia considerato e valutato come inserito in una sequenza più ampia e coerente.

In applicazione di tale principio la Suprema Corte cassa la sentenza della Corte lagunare avendo la stessa operato una indebita parcellizzazione dei singoli episodi dell’unitario contegno omissivo addebitato alla struttura, concentrandosi soltanto sull’ultimo evento rivelatosi poi fatale ed ignorando i due precedenti, nonché le risultanze dell’elaborato peritale, avente, in materia di responsabilità sanitaria, funzione “percipiente” (v. Cass., 22.1.2015, n. 1190; Cass., 20.10.2014, n. 22225). Il giudice di appello aveva invero trascurato di valutare se, nell’insieme, tutti gli elementi unitariamente considerati fossero idonei all’accertamento del nesso causale, secondo il principio del “più probabile che non”, tra l’omessa diagnosi di patologia cardiaca e l’intervenuto decesso del paziente per attacco ischemico.

Cassazione civile sez. III, 26.2.2019, n. 5487